Estratti
Il Passaggio per Ywerddon
- Incipit
- Capitolo III
- Capitolo VII
- Capitolo IX
- Capitolo XIII

Incipit
— Pista! Ehi, pista!
Le rotelle dello skateboard grattarono il cemento del marciapiede con un suono sordo, spezzato di tanto in tanto da un colpo secco ogni volta che la ragazza ollava per superarne il bordo e ricadere col nose sull'asfalto della strada.
— Forza lenticchie! Via di lì o vi metto sotto!
Una ragazza bionda con le trecce e un vestitino blu, che sembrava troppo giovane per la sua età, fece appena in tempo a scostarsi che Rebecca le passò accanto sfiorandole una spalla, per poi lanciarsi verso l'incrocio che portava all'istituto Guerini, distante ormai non più di due o trecento metri.
Molto più sotto, arrancando come un orso che cerca di raggiungere un favo di miele posto in cima a un albero, Alessandro sudava e sbuffava, spingendo con forza sui pedali, cercando di percorrere quell'ultimo tratto di salita che l'avrebbe portato dinnanzi al cancello della scuola prima che muscoli e polmoni decidessero di scioperare.
Un tizio di nome Murphy una volta aveva detto che se qualcosa poteva andare storto sicuramente lo avrebbe fatto. Non c'è da stupirsi quindi se Rebecca e Alessandro giunsero davanti alla scuola pressoché nello stesso momento, nonostante la notevole diversità e velocità di mezzi.
…
Capitolo III
Fu verso la fine dell’anno che nacque il Club dei Dimenticati. Qualche tempo prima Rebecca, in uno dei tanti atterraggi di fortuna con lo skate che Alessandro insisteva a chiamare rovinose cadute, aveva trovato uno stretto passaggio nel muro che costeggiava il clivo di Rocca Savella. L’apertura era coperta da una cascata di piante rampicanti e dava in una zona del grande parco retrostante che era separata a sua volta dal resto del bosco da un alto muro e da un grosso cespuglio di rose. Roma era una città dove greggi di pecore ancora pascolavano a poca distanza dai centri commerciali e dove palazzoni futuristici in vetro e cemento si alternavano a mura vecchie più di duemila anni. Persino all’interno della città c’erano parchi e boschetti sia pubblici che privati, a ridosso di qualche vecchio convento oppure all’ombra di un vecchio palazzo signorile.
Non c’era quindi da stupirsi se la ragazza fosse riuscita a trovare una piccola oasi verde pressoché sconosciuta nel bel mezzo della città. Fu qui appunto che Rebecca trovò l’Albero. Di che specie non ne aveva la più pallida idea, ma sembrava vecchio perché aveva un tronco largo e contorto, un po' tozzo, dal quale si innalzava una chioma formata da decine di rami di ogni dimensione e forma che creavano un vero e proprio labirinto sospeso. I rami, sotto il loro stesso peso, scendevano fino a toccare il recinto di mura, così che la chioma dell’albero era di fatto diventata un vero e proprio tetto. Fu lì, proprio dove il tronco si divideva in sei o sette grossi rami, che Alessandro costruì il loro rifugio segreto.
…
Capitolo VII
— Aiutooooo!
Alessandro alzò di scatto la testa. Aveva il volto paonazzo e bagnato di rugiada e fili d’erba. Un vento freddo e pungente gli sferzò la faccia e lo costrinse a chiudere gli occhi, già abbacinati dalla luce del sole. Nelle orecchie lo sferzare delle raffiche si sovrapponeva alle grida disperate della ragazza.
— Serena! Oddio!
— Aiuto! Ti prego! Sto cadendo!
La voce si spense in un lamento. Alessandro fece uno sforzo per aprire gli occhi. La luce lo accecò di nuovo per qualche secondo. Resistette, strizzò gli occhi e si alzò in ginocchio, quindi si portò una mano sul viso, per ripararsi dal sole. Quando era passato attraverso il portale aveva sentito una sorta di vertigine, come se tutto si stesse rivoltando intorno a lui, una sorta di giostra allucinata di suoni ed immagini. Quindi era caduto di pancia su uno spesso tappeto d’erba, o almeno così gli era sembrato. Quello che prima era verticale adesso era diventato orizzontale, come se nel salto la porta si fosse rovesciata verso il basso di novanta gradi, come nei cartoni animati. Il colpo lo aveva lasciato senza fiato. Non doveva essere caduto da molto in alto, ma l’urto gli aveva fatto uscire di colpo l’aria dai polmoni e lo aveva lasciato diversi secondi ad ansimare. Poi l’urlo, proprio davanti a lui.
…
Capitolo IX
Lo gnomo si avvicinò a Finn Bheara. Era piccolo, con una grande testa tonda e due lunghe orecchie a punta. Aveva lo sguardo preoccupato e parlava a scatti.
Quando Úna aveva detto a Serena e Alessandro che loro non avrebbero dovuto esistere, all’inizio non avevano capito bene cosa intendesse dire. C’era voluto un po’, anche perché la regina aveva la tendenza a divagare e distrarsi, come se quella fosse solo una novità che presto le sarebbe venuta a noia. Al contrario di Finn Bheara, che sembrava quasi umano per il suo modo di fare, con Úna non si riusciva mai a capire se fosse seria o stesse scherzando. Così i due avevano finito per rivolgersi al re nella speranza di avere un resoconto un po’ più comprensibile e soprattutto attendibile in merito alla faccenda.
— Beh, è una lunga storia — aveva esordito il sovrano. — Dovete sapere che molti, molti secoli fa, Ywerddon e Kaja erano unite e le Cinque Case vivevano insieme anche se, devo ammetterlo, non sempre in pace ed armonia, anzi! Fatto sta che…
— Le Cinque Case? A quali case vi riferite, sire? — lo interruppe Leonardo.
…
Capitolo XIII
— Vieni pure avanti, Rebecca. Non aver paura
Se fino a quel momento la ragazza si era sentita intimorita, il sentire quell’uomo chiamarla per nome la fece cadere in preda al panico. Si voltò verso Firfir ma questi scosse appena la testa, come a dire “mi spiace, non posso fare nulla per te”, quindi con uno schiocco secco sparì nel nulla, lasciando solo un velo di nebbia nel punto in cui era scomparso.
Spillo si girò di nuovo verso l’uomo ma questi era svanito. A quel punto il panico ebbe la meglio. I muscoli si risvegliarono come da un sonno antico. Si girò per fuggire, lanciandosi verso la porta, l’aprì e si lanciò fuori, ma aveva fatto solo pochi passi quando qualcosa l’afferrò per la gola. Si portò le mani al collo, levò la testa all’indietro e aprì la bocca per cercare respirare, ma quella cosa la stringeva sempre più forte. Iniziò a mancarle il respiro, annaspò cercando di afferrarsi a qualcosa, di liberarsi da quell’invisibile laccio. Poi un alito caldo che sapeva di carne decomposta le sfiorò i capelli.
— Oh, Rebecca, Rebecca… Tu mi deludi! Io ti offro ospitalità e tu, cosa fai? Fuggi?
…