Estratti
Il Labirinto dell’Enigmista
- Incipit
- Capitolo II
- Capitolo III
- Capitolo IX
- Capitolo XXIII
Incipit
— Allora, l’hai portato?
Leonardo sollevò la testa verso Alessandro che, sporgendosi dalla botola d’ingresso della Tana, lo stava fissando con espressione ansiosa. Il ragazzo fece una smorfia e scomparve di nuovo tra le fronde. Un attimo dopo, un vecchio zaino malconcio volava all’interno del rifugio che lui e gli altri avevano costruito in mezzo ai rami del grosso albero.
Atterrò con un suono sordo, proprio davanti a Rebecca. Seduta in un angolo a gambe incrociate, la ragazza non faceva certo mistero di essere ancora parecchio arrabbiata per come erano andate le vacanze estive. Appena tornata da Ywerddon, la madre l’aveva spedita dalle suore, in un campo scuola in Umbria. Spillo, come la chiamavano gli amici, all'inizio aveva protestato, poi si era resa conto che non l’avrebbe spuntata neppure quella volta. Così aveva cercato fino all’ultimo giorno di avere dalla madre l’autorizzazione a passare un paio di settimane con il padre a Bressanone.
La Contessa, come la chiamavano le male lingue e non certo per presunti quarti di nobiltà, aveva rassicurato la figlia che avrebbe preparato la lettera per la badessa prima della partenza. Alla fine però se n’era dimenticata, come Rebecca temeva. Così anche per quelle vacanze aveva dovuto rinunciare a stare con il padre.
…
Capitolo II
La nebbia scivolava leggera tra i tronchi nudi che si vedevano a tratti in mezzo alla foschia che avvolgeva il boschetto di faggi. La radura era segnata dal grosso ceppo di un albero, forse una quercia, che spiccava come un vecchio soldato in mezzo a un drappello di reclute appena arrivate al fronte dalle retrovie.
Un rumore ruppe l’incanto. Un ramo spezzato, poi un avanzare di passi sulle foglie secche. Un’ombra si avvicinò al ceppo da est, poi un’altra e un’altra ancora, ognuna da una direzione diversa. Man mano che avanzavano, le ombre presero forma fino a trasformarsi in sette figure incappucciate e coperte da un lungo tabarro di panno nero che arrivava fino ai piedi.
Le figure si fermarono a circa un paio di metri dal centro della radura poi, lentamente, allungarono il braccio sinistro, il palmo rivolto verso l’alto. Sette fiammelle di colore azzurro comparvero al centro delle mani, ondeggiarono per un paio di secondi, quindi si sollevarono e si diressero verso il centro del tronco, dove si unirono in un'unica fiamma.
A questo punto una delle figure iniziò a parlare. La voce era femminile, bassa, ben modulata. Le parole, pronunciate in una lingua antica, si scioglievano l’una dietro l’altra in un alternarsi di sillabe dolci e vocali allungate a formare quasi una melodia.
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Capitolo III
L’uomo si fermò, alzò il volto al cielo, quindi crollò con le ginocchia sulla sabbia che scivolò via, scendendo lungo i bordi dell’enorme duna che stava scalando. Prese l’otre che aveva a tracolla e fece per bere, poi si fermò. Non ancora, pensò, è troppo presto.
Le labbra erano secche, la gola arida, ma se avesse bevuto ora che il sole era ancora alto, avrebbe sudato tutta l'acqua nel giro di un’ora o poco più. Si beve solo la sera e la mattina, ricordò a se stesso. Solo la sera e la mattina. Mise via l’otre, poi, aiutandosi con le mani, si rialzò, guardò la ventina di passi che lo separava dalla cresta della duna, si aggiustò lo zaino che portava in spalla e riprese a salire.
Gli ci vollero quasi due minuti per fare pochi passi: aveva le gambe pesanti come piombo, le spalle che tiravano, la schiena che proprio non ne voleva sapere di rimanere dritta. Alla fine arrivò in cima. Si guardò intorno. Quel deserto sembrava interminabile, faceva impallidire persino l’erg libico. Enormi dune a perdita d’occhio. Avrebbe potuto tranquillamente essere nel Sahara se non fosse stato per il colore della sabbia. Alcune dune erano colore del bronzo, altre di un giallo dorato, altre ancora quasi bianche, come sale. Ce n’erano persino di nere e una, in lontananza, era verde rame. C’erano più sabbie metalliche in quel deserto che rocce metallifere in tutte le miniere della Terra.
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Capitolo IX
La donna gli sorrise e gli accarezzò una guancia. Non avrebbe potuto amare nessun altro come amava lui. Non aveva mai desistito, non si era mai tirato indietro. Sarebbe stato così facile per lui mollare, trovare un’altra, ricominciare. Forse avrebbe dovuto farlo lei, anche se questo lo avrebbe fatto soffrire. Si sarebbe sentito tradito ma sarebbe stato libero. A volte devi far del male a chi ami per proteggerlo.
Se solo Alejandro avesse potuto leggere quali pensieri vorticassero nella mente della moglie, dietro a quel caldo sorriso, si sarebbe sentito gelare. Aveva lottato troppo per rinunciare proprio in quel momento, ma Lara lo sapeva. Lei sapeva cosa stesse pensando Alejandro e sapeva che doveva lasciarlo tentare. Che non si sarebbe dato pace se non ci avesse almeno provato. Poi, forse, se lui avesse fallito, lei avrebbe preso la sua decisione. Ma non adesso.
Il cielo tornò a splendere, quando la tetra coltre che li proteggeva si dissolse. Fu un attimo. Un alito di vento, un soffio leggero che lasciò nell’aria il fresco odore della pelle di lei. Poi un refolo portò via anche quell’ultima traccia della sua presenza.
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Capitolo XXIII
Il fuoco era piacevole. Scaldava il volto e le mani. Alejandro si aggiustò la coperta sulle spalle. Il capanno era poco più che una baracca, ma c'erano un tetto sulla testa e un camino accesso. C’erano una mezza dozzina di pagliericci nelle due stanze attigue. Il mago non aveva idea di chi l’avesse costruito e perché, ma era meglio che dormire all’addiaccio. Lilith era rimasta fuori. Lei non temeva il freddo, c’era abituata. E poi avrebbe occupato tutto lo spazio della piccola sala da pranzo.
— Non riesco a dormire.
L’uomo non si voltò. Continuò a fissare le fiamme che danzavano sul ceppo del camino. Il profilo di Serena emerse dall’oscurità, dipinto nel buio dalle fiamme del camino, quasi a sovrapporsi a quello del padre. La ragazza si era seduta sulla panca accanto a lui e si era messa a fissare il fuoco. Poteva vedere le fiamme, l’energia, ma non i ceppi e neppure il camino. Solo delle fiamme bianche e azzurre che giocavano nel vuoto assoluto. Il padre era un’ombra di luce, splendente di vita e magia, ma al centro c’era una goccia di oscurità, un vuoto proprio dove avrebbe dovuto essere il cuore. Serena sentiva che doveva far qualcosa per riempire quel vuoto.
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